In caso di un’attività lavorativa “di per sé” pericolosa, il datore di lavoro deve approntare tutte le cautele necessarie ad evitare danni al lavoratore

In caso di un’attività lavorativa “di per sé” pericolosa, il datore di lavoro deve approntare tutte le cautele necessarie ad evitare danni al lavoratore
14 Settembre 2020: In caso di un’attività lavorativa “di per sé” pericolosa, il datore di lavoro deve approntare tutte le cautele necessarie ad evitare danni al lavoratore 14 Settembre 2020

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 15112/2020, depositata il 15.07.2020, ha ribadito alcuni importanti principi in tema di tutela delle condizioni di lavoro e dell’integrità fisica dei lavoratori.

IL CASO. Tizio, lavoratore presso la società Beta, aveva agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’infortunio occorsogli per la caduta da un’altezza di circa tre metri, mentre era intento a movimentare dei pannelli su una scala a pioli in assenza di sistemi di contenimento.

La domanda di risarcimento era stata accolta in primo grado, ma veniva respinta, invece, in appello. 

A seguito delle indagini espletate dal consulente tecnico d’ufficio era emerso, infatti, che il lavoratore stesse maneggiando i pannelli da una altezza pari a 70/80 centimetri da terra e, quindi, il Giudice di secondo grado, aveva escluso la responsabilità della datrice di lavoro, non ravvisando in capo ad essa l’onere di fornire al lavoratore la cintura di sicurezza, essendo che il suo uso era prescritto soltanto per altezze superiori. 

Avverso la predetta statuizione, Tizio proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, in particolare, con il primo motivo di impugnazione, la violazione dell’art. 2087 c.c.

LA DECISIONE. La Suprema Corte ha ribadito che l’art. 2087 c.c. “impone all’imprenditore, in ragione della sua posizione di garante dell’incolumità fisica del lavoratore, di adottare tutte le misure atte a salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze”.

Tali misure debbono essere distinte da quelle tassativamente previste dalla legge e comprendono tutte quelle dettate dalla comune prudenza e che si rendano in concreto necessarie. 

La Suprema Corte, quindi, aderendo a consolidata giurisprudenza, ha precisato che la norma in esame non contempla un’ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro (in virtù della quale esso dovrebbe ritenersi responsabile ogni qualvolta il lavoratore subisca un danno in conseguenza dell’esecuzione della prestazione lavorativa), in quanto la norma richiede che l’evento sia riferibile alla colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento, concretamente individuati e imposti da norme di legge di regolamento o contrattuali ecc..

Dunque, prosegue la Corte, “la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge ma anche suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno (..) e, posta tale prova, sussiste per il datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottati tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno”. 

La Suprema Corte, ha, quindi, ritenuto che la Corte di merito non avesse correttamente applicato i principi dettati in sede di legittimità relativi agli obblighi di protezione gravanti sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.

Infatti, prescindendo dall’altezza della posizione cui stava lavorando Tizio, e, quindi, dalla sussistenza dell’obbligo di dotare il lavoratore di cinture di sicurezza o di altre misure di protezione, per il lavoratore era sufficiente allegare, oltre al verificarsi del danno nell’esercizio dell’attività lavorativa, la nocività dell’ambiente ed il nesso di causalità.

Nel caso di specie, la Corte non ha avuto dubbi nell’affermare che l’utilizzazione della scala per la movimentazione di pannelli, in difetto di qualsivoglia allegazione da parte del datore in ordine ad una imprevedibile azione del dipendente, dovesse ritenersi attività non adeguata e pericolosa, ove non garantita da particolari misure di protezione.

La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto che il giudice di secondo grado abbia disatteso “il principio secondo cui di fronte ad una attività pericolosa di per sé – quale l’utilizzazione di una scala e per ragioni difformi rispetto all’uso normale a chi è destinata – il datore di lavoro deve approntare tutte le cautele idonee ad evitare danni al dipendente, fino ad inibirne lo stesso utilizzo”.

Il ricorso è stato, quindi, accolto e la causa è stata rinviata alla Corte d’Appello in altra composizione giudicante.

Altre notizie